
ROMA E L’INCONTRO CON MENDHELSSON

L’inizio è tutt’altro che tiepido, ma la passione si sarebbe presto spenta nel clima romano: arriva la noia, malgrado le serate allegre al Caffè Greco o i balli eleganti all’Ambasciata. Persino in visita a San Pietro, nonostante l’enorme emozione suscitata dall’eccelsa bellezza dell’arte, Berlioz è sopraffatto dalla delusione e dall’amarezza interiore che gli impediscono di gustare appieno il soggiorno. È noto come fosse rimasto fortemente deluso nell’ascoltare la musica di Palestrina, confutandone il genio e definendone l’opera «quelle plaisanterie».
Villa Medici, da lui definita una «caserma accademica», non rappresenta certo una fonte di ispirazione; l’artista, al contrario, sente progressivamente spegnersi il suo estro creativo. Porta a termine, infatti, soltanto quattro lavori: l’Ouverture del Roi Lear, composta a Nizza, alcuni brani del Mélologue, l’Ouverture de Rob- Roy, che brucerà il giorno stesso della prima esecuzione, avvenuta l’anno dopo a Parigi, e una rielaborazione della Scène aux champs de la Symphonie fantastique, che riscriverà quasi per intero, come afferma il compositore, vagando per Villa Borghese.