Berlioz . digilander - Graziella Martina - In viaggio con gli scrittori

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La storia della musica
vista attraverso la vita e le opere degli artisti

Nel 1826 entrò in Conservatorio dedicandosi intensamente allo studio della composizione e dell’”Arte della Fuga”di Bach.. Ma per questa particolare forma musicale nutrì profonda antipatia dimostrata, peraltro, nella prima stesura della composizione “La dannazione di Faust.
Si presentò nuovamente al concorso “Prix de Rome”con la composizione “La mort d’Orphée”, ottenendo un ulteriore insuccesso.

Nel 1829, assistendo ad una rappresentazione del dramma ”Amleto” e del “Romeo e Giulietta”, di Sakespeare fu colpito da un forte turbamento, che lo condusse quasi alla pazzia. L’interprete principale era una giovane artista irlandese, Harriet Smithson, verso la quale il musicista portava una sincera simpatia sino ad innamorasi perdutamente.
Rientrato al paese natio, dietro consiglio d’alcuni amici, per potersi rasserenare, non ottenne il desiderato effetto. Si dedicò, invece, con entusiasmo alla studio ed alla interpretazione della “Nona” di Beethoven ed al “Faust” di Goethe. Scrisse alcune parti musicali per quest’ultima opera e le inviò al poeta tedesco per l’approvazione, ma non ottenne alcuna risposta.

Intanto l’amore per la Smithson si fece più pressante e lo ispirò alla composizione della “Sinfonia fantastica” ove poesia ed autobiografismo lirico si compongono in una forma potentemente originale che lo farà conoscere in Europa come il caposcuola del romanticismo musicale francese. Nel frattempo apprese alcune notizie non troppo convincenti sul comportamento della sua amata, e, dopo aver chiuso con un finale drammatico la “Fantastica”, decise, per dimenticarla, di porgersi ad altri amori.
Una di questi, Camilla Moske, nel 1830, attraverso le composizioni da lei ispirate, gli fece vincere, finalmente, il “Prix de Rome” e gli dimostrò anche sincera simpatia ed affetto.
Ricco di nuove esperienze e pieno d’interesse per il premio raggiunto si recò a Roma per assumere il posto all’Accademia, tanto ambito ma l’amata Camilla, rimasta sola, pensò bene di “convogliare a nozze” con un fabbricante di pianoforti.

Roma non gli fu simpatica trovando odiosa la musica italiana, invece molto amabili gli italiani. Lo esaltò soprattutto la vita in campagna ed i vari paesaggi che ispirarono le sue ulteriori composizioni quali: l’”Amleto” e “Benvenuto Cellini”.
Dopo una breve permanenza a Napoli, nel 1832, ove conobbe Mendelssohn rientrò a Parigi, dove, incontrata la Smithson, dopo una serie di tormentate incertezze e di contrastate alternative, la sposò; uno dei testimoni di nozze fu List.
La vita si fece più difficile ed il guadagno meno florido, pertanto si decise a collaborare con alcune testate della stampa parigina onde poter pubblicare le sue prose vivaci e polemiche.
La moglie gli diede un figlio, Luigi, e lasciò l’arte per dedicarsi, a tempo pieno alla famiglia ed alle preoccupazioni per la gelosia verso il marito.

Nel 1836 ottenne dal ministero l’incarico di scrivere un “Requiem” che ottenne un gran successo. Nello stesso anno fu rappresentato all’Opera anche “Benvenuto Cellini” che, sebbene non siano mancati gli applausi, non ottenne i favori della critica. Ebbe invece ottima impressione la sinfonia “Aroldo in Italia” eseguito nel 1837 ed ammirato da Pagannini, che, il giorno dopo l’audizione, inviò al compositore un cospicuo assegno, mettendolo in condizione di dedicarsi totalmente alla composizione. In un paio d’anni vennero alla luce: la sinfonia drammatica “Romeo e Giulietta” che fu entusiasticamente applaudita producendo, inoltre, una viva impressione sul giovane Wagner, presente al concerto e la “Sinfonia funebre e trionfale”. Tra coloro che meglio intesero il suo complesso e difficile temperamento d’artista fu la principessa Sayn-Wittgenstein, la spirituale amica di List che lo esortò a porre in musica l’episodio virgiliano dei “Troiani a Cartagine”.

Nella famiglia del maestro sorsero alcune complicazioni sentimentali: infatti, s’innamorò di una cantante, Maria Recio e con lei si recò in Germania abbandonando moglie e figlio.
Fu aiutato ad introdursi nel nuovo ambiente musicale da Wagner, Mendelsshon e Shumann, che lo assistettero, con affetto e simpatia, nelle sue peregrinazioni in terra tedesca. Presentò le sue composizioni in quasi tutte le più importanti città tedesche, quali Stoccarda, Dresda, Francoforte, Lipsia, Berlino ed altre, ottenendo successi calorosi ed anche larvati insuccessi, ma nonostante la buona accoglienza ottenuta da artisti e principi, il ritorno a Parigi non fu quello “da trionfatore” ma fu costretto a mantenere “due famiglie”. Organizzò nuovi concerti, intensificò le collaborazioni giornalistiche pubblicando “Saggi” e “Memorie” e, nel 18444, il grande “Trattato d’istrumentazione” dedicandolo al re di Prussia. Si recò, per tenere dei concerti, a Vienna, a Praga, a Budapest, ora esaltato ora vilipeso dal pubblico e dalla stampa.

Ritornato a Parigi completò la “Dannazione di Faust” che fu proposta nel 1846 in una sala semivuota a causa del maltempo imperversante su Parigi. Successo buono ma effimero! e “casse” semivuote.
Nel 1847 fu costretto a compiere un viaggio in Russia, a Pietroburgo ed a Mosca, presentando alcuni concerti che gli procurarono, finalmente, un lauto guadagno.
Rientrato a Parigi trovò una scrittura per la direzione di un’orchestra sinfonica a Londra. Tale attività generò un’oasi di tranquillità sia finanziaria sia professionale molto breve, però perché tale scrittura non gli fu più concessa dato il fallimento dell’impresa.
Altro ritorno a Parigi ove trovò la moglie ammalata, nuove difficoltà finanziarie, nuove delusioni artistiche per una Società Filarmonica da lui fondata. Riprese a girovagare per l’Europa dirigendo concerti e componendo altre musiche per teatro e da scena.

Nel 1854 gli morì la moglie, e riconosciuto in Wagner un rivale pericoloso rientrò definitivamente a Parigi, decidendo di non “comporre più musica” ma di dedicarsi solo alla direzione. Abbandonò anche la collaborazione con la stampa raggiungendo però anche una relativa tranquillità materiale. Condusse a termine la “Memorie”, curò le esecuzioni di “Armida” e le “Alcesi” glukiane.
Nel 1860 gli morì la seconda moglie, la cantante “Recio”, sposata poco dopo la morte della Smithson e, nel 1867 gli morì anche il figlio, in Sud America, con il quale, dopo un lungo abbandono, era da qualche tempo in rapporti affettuosi.

Di fonte a questi drammi, di fronte alla realtà terrena che lo avvolse, il musicista, da vecchio, si rifugiò nel primo amore dell’infanzia, scrivendole alcune lettere e componendole anche alcuni versi in musica: la “Stella mattutina”, la fanciulla di un tempo ormai tanto lontano, consumata dagli anni ed ormai nonna felice. Le lettere, all’inizio, non ebbero risposta alcuna, poi la “dolce vecchietta”, trascinata dal ricordo di quegli anni scoloriti e dal fuoco romantico dell’impenitente sognatore, gli rispose mandandogli la propria immagine, nella quale una cuffia ricopriva i radi capelli bianchi accompagnata da parole tenere e consolatrici.

L’illusione afferrò l’allucinato poeta che segnò, nel suo diario, l’ultima parola della sua fede: ”Nulla di reale al mondo se non quello che passa nel proprio cuore”.
Da allora iniziò l’agonia fisica e spirituale che durerà due anni; la vita eroica e dolorosa si chiuse nel 1869, sempre a Parigi.

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