Gellhorn - Libri in valigia - Graziella Martina - In viaggio con gli scrittori

Vai ai contenuti




Non a tutti è dato di essere un Marco Polo e nemmeno una Freya Stark, ma nonostante questo, siamo in milioni a viaggiare. I grandi viaggiatori, viventi o del passato, sono una categoria a sé stante di professionisti inarrivabili. Noi siamo semplici dilettanti e, se pure abbiamo i nostri momenti di gloria, perdiamo le energie e il vigore, viviamo anche momenti di amarezza. Chi non ha mai sentito, pensato o detto: «Santo cielo, mi hanno perso un’altra volta i bagagli!», «Siamo arrivati fino a qui per vedere quella roba?», «Perché devono fare tutto quel fracasso?»
Eppure insistiamo e facciamo il possibile per vedere il mondo e per muoverci: arriviamo dappertutto. Quando torniamo, non c’è nessuno che si presti volentieri ad ascoltare i nostri racconti. «Com’è andato il viaggio?», ci chiedono. «Stupendo. A Tblisi ho visto…». Occhi sgranati. Appena lo permette la buona educazione (o anche prima), la conversazione si sposta su qualche pettegolezzo, lo scandalo politico del momento, lo show della sera prima alla televisione. L’unico caso in cui un nostro viaggio ci garantisce un uditorio attento è un disastro. «Il cammello ti ha disarcionato e ti sei rotto una gamba?», «Hanno chiuso a chiave la sauna di Vijipuri e ti hanno dimenticato dentro?». Ecco cosa li diverte. Non ci lasciano nemmeno finire di raccontare e si lanciano nelle descrizioni delle loro sofferenze in lande remote.
martedì 13 novembre 2018
In viaggio con Martha Gellhorn e con qualcuno


Martha Gellhorn non leggeva libri di viaggio, preferiva viaggiare. Viaggiava per curiosità, per incapacità di star ferma nello stesso luogo, per documentare guerre, per capire come vivessero le persone negli angoli più remoti della terra, per scoprire acque limpide in cui nuotare, perché suggestionata da nomi magici: Pechino, Samarcanda, Costantinopoli, Tahiti. Fumava, beveva whisky, negli anni Sessanta guadava fiumi in Uganda alla guida di una Land Rover scassata; non partiva mai senza una buona scorta di gialli; non amava circondarsi di oggetti inutili, pensava che il possesso la rendesse schiava e non sentiva la necessità di acquistare cose che non le servivano. Era una donna pratica, un po’ incosciente, maniaca dell’igiene e della pulizia; inorridiva al pensiero di non potersi lavare i denti sul fiume Chiang Jiang, mentre i giapponesi bombardavano i cinesi.
Preferiva viaggiare da sola, ma nel 1941 costrinse il Compagno Riluttante ad andare dove non aveva nessuna intenzione di andare. In quegli anni, la giornalista Martha Gellhorn lavorava per il Collier’s e il suo direttore le diede l’incarico di documentare la guerra sino-giapponese.

«Ero ben decisa a vedere l’Oriente prima di morire, prima della fine del mondo o di qualsiasi cosa sarebbe poi capitata». Da appassionata corrispondente di guerra, non avrebbe mai rinunciato a quell'opportunità. Ma ebbe la malaugurata idea di convincere il Compagno Riluttante (CR) a partire con lei. CR era Ernest Hemingway, suo marito dal 1940 al 1945: sposati dopo la guerra di Spagna, separati dopo lo sbarco in Normandia.
Quel gran bevitore di Hemingway non aveva trascorso gli anni della sua formazione a bighellonare sui tram e a imbottirsi la testa con i romanzi di Somerset Maugham, come aveva fatto, invece, sua moglie. Così, mentre Martha andava in giro a tastare il polso della nazione, CR preferiva andare a caccia nelle colline circostanti e sbevazzare qualsiasi cosa (compreso il vino di serpente) con chiunque. Senza perdere mai l’occasione di rinfacciarle che era finito in Cina per assecondarla.
Il nome di Hemingway non viene mai menzionato nel devastante viaggio cinese; Martha Gellhorn si riferisce a lui chiamandolo sempre the Unwilling Companion (nella traduzione italiana Compagno Recalcitrante), il “qualcuno” del titolo.

Il viaggio in Cina con qualcuno rientra tra i cinque horror trips, le cinque esperienze di viaggio più disastrose, che Martha Gellhorn ci racconta in questo libro. In una piagnucolosa lettera, inviata a sua mamma, scrisse: «La Cina mi ha guarito. Non voglio viaggiare più». Ma Martha era una viaggiatrice incurabile, nessuna disavventura avrebbe potuto guarire la sua smania di viaggiare.
Tra gli altri horror trips racchiusi in In viaggio da sola e con qualcuno c’è il suo primo incredibile viaggio alla scoperta dell’Africa; un viaggio folle nel 1942 tra le isole caraibiche per documentare la guerra tra le forze marine Alleate e la flotta sottomarina tedesca; un viaggio in Israele in cui Martha tenta di comprendere la filosofia di una comunità hippy (comunità troppo fumata per poter comunicare qualsiasi cosa); un viaggio nella lontana Russia solo per conoscere Nadežda Jakovlevna Chazina, vedova del poeta Osip Emil’evič Mandel’štam.
Nel 1998, all’età di 89 anni, ormai malata e quasi cieca, Martha ingerì un paio di pillole pensando forse non avesse più senso continuar a vivere senza poter viaggiare, leggere e nuotare.

Se avessi scoperto questo libro una ventina di anni fa, avrei fatto ciò che lei considerava normale: inviare una lettera alla scrittrice, ringraziandola per avermi fatto sorridere e per avermi concesso di favoleggiare sui tempi in cui il Kenya non era sinonimo di resort e le isole caraibiche erano un angolo di paradiso (nonostante una guerra mondiale). Ma sono arrivata tardi e posso solo ringraziare le biblioteche di Roma per avermi fatto leggere questo volume ormai fuori catalogo.
Travels with Myself and Another (1978) è stato pubblicato in Italia nel 2006 da FBE edizioni nella traduzione di Guido Lagomarsino e non credo sia mai stato ristampato. Peccato. Però, lo si può acquistare facilmente in lingua originale o approfittare dell’occasione per una spedizione sui banchetti dell’usato. Con un po' di fortuna...








Torna ai contenuti