Metafore letterarie sul tema del Viaggio tra Avventura e Ricerca Interiore
A cura di Bice Serafini
GIORNALE DI BORDO
Cristoforo Colombo
TERRA! TERRA!
Il diario di bordo di Colombo costituisce un documento importante
per chiunque voglia seguire, passo passo, il viaggio delle tre caravelle. Egli
annotava di notte quel che era successo durante il giorno, e di giorno
quello che era accaduto di notte, disegnando una vera e propria carta
nautica del suo viaggio. Purtroppo buona parte del diario è andata perduta; ma per fortuna un amico dei figli di Colombo, Bartolomè de Las Casas, ne riassunse le parti mancanti e ricopiò fedelmente quelle rimaste.
Cristoforo Colombo (1451-1506) era figlio di un lanaiolo. L’interesse per il mare lo spinse a Lisbona, e a Madera sposò la figlia di un navigatore. Trascorse molti anni tra viaggi e studi sulle scienze marine. Propose l’idea del suo viaggio verso le Indie dapprima a Genova e al Portogallo, ma, respinto da questi, offrì il progetto ai sovrani di Spagna, i
quali, dopo un’attesa di otto anni, acconsentirono. Partì con tre caravelle
da Palos, il 3 agosto 1492, e il 12 ottobre arrivò all’isola di Guanahani,
da lui chiamata San Salvador. Fece poi altri tre viaggi e toccò Dominica,
Portorico, Giamaica, Trinidad e l’Orinoco. Tornato in Spagna, fu denigrato da chi cercava di affossare l’impresa da lui compiuta. Morì in miseria, convinto di aver raggiunto le isole orientali dell’Asia, ignaro di aver
scoperto un nuovo continente, l’America.
L’Ammiraglio navigò verso Ovest Sud Ovest. Ebbero
mare grosso più che in tutto il viaggio non avessero avuto.
Videro alcune procellarie1 e un giunco verde passare vicino
alla nave.
Gli uomini della caravella Pinta scorsero una canna e
un bastone, pescarono un altro bastone lavorato, a quel che
pareva, col ferro, e videro ancora un pezzo di canna, ed
erba diversa dalla solita e che nasce in terra, e una tavoletta.
Anche quelli della caravella Niña videro altri segni di terra e
un tronco di spino carico di frutti rossi. Con questi indizi
tutti si sentirono sollevati e allegri.
In questo giorno, fino al tramonto, percorsero 27 leghe.
Dopo il tramonto l’Ammiraglio tornò alla sua rotta
d’Occidente. Correvano a 12 miglia4 all’ora, e fino alle 2
dopo mezzanotte avevano fatto 90 miglia, ossia 22 leghe e
mezza; e poiché la caravella Pinta era più veloce delle altre
due caravelle, e precedeva l’Ammiraglio, così trovò terra e
fece i segnali che l’Ammiraglio aveva ordinato.
Questa terra vide per primo un marinaio che si chiamava Rodrigo da Triana, sebbene l’Ammiraglio, alle 10 di
notte, stando sul castello di poppa, avesse visto una luce. Per
quanto la cosa fosse tanto vaga che non osò affermare che
fosse terra, pure chiamò Pero Gutiérrez, credenziere del Re,
e gli disse che gli pareva una luce e che anch’egli guardasse,
e così fece quegli, e la vide; lo stesso disse a Rodrigo Sánchez
di Segovia, che il Re e la Regina avevano mandato sull’Armata come ispettore, il quale nulla vide perché non si trovava
in luogo da dove potesse vederla. Dopo che l’Ammiraglio
aveva parlato, quella luce fu vista una volta o due; ed era
come una candeluccia di cera che si alzava e si abbassava, ciò
che tuttavia sarebbe parso a ben pochi esser indizio di terra;
ma l’Ammiraglio tuttavia fu certo di trovarsi prossimo ad essa.
Per lo che, quando gli uomini dissero la Salve Regina,
che tutti i marinai costumano recitare e cantare a modo
loro, e tutti fanno silenzio, l’Ammiraglio li pregò e consigliò
di far buona guardia sul castello di prua e di far attenzione
all’apparir della terra, e al primo che gli dicesse di veder
terra farebbe subito il dono di un giubbone di seta, senza
pregiudizio delle altre ricompense che i Sovrani avevan promesso, e cioè dieci mila maravedís di pensione perpetua.
Alle due dopo la mezzanotte apparve la terra dalla
quale eran lontani due leghe circa. Ammainarono tutte le
vele e avanzarono solo col trevo, che è la vela maggiore
senza coltellacci , e si posero in panna, temporeggiando
fino al nuovo giorno, venerdì, quando giunsero ad una Isoletta delle Lucaie che nella lingua degli Indiani si chiamava
Guanahaní.
Videro tosto gente ignuda, e l’Ammiraglio si avviò a
terra con la barca armata, in compagnia di Martín Alonso
Pinzón e di Vicente Yañez suo fratello, che era capitano
della Niña. L’Ammiraglio spiegò la bandiera reale e i due
capitani brandirono due bandiere con la croce verde che
l’Ammiraglio recava in tutti i navigli come insegna e che
avevano una F e una Y, e sopra ad ogni lettera una corona,
una da una parte e l’altra dall’altra della croce. Sbarcati che
furono, videro alberi verdissimi, molte acque e frutti di diversa specie.
L’Ammiraglio chiamò i due capitani e gli altri che
erano saltati a terra, e Rodrigo d’Escobedo, notaio di tutta
l’Armata, e Rodrigo Sánchez di Segovia, e disse loro che gli
facessero fede e testimonianza come egli in presenza di tutti
prendeva possesso, come infatti prese, della detta Isola per
il re e per la Regina suoi Signori, facendo le proteste di diritto come più diffusamente si legge negli atti che colà furono redatti per iscritto.
Subito si radunò in quel punto molta gente dell’Isola.
Queste che seguono sono parole testuali dell’Ammiraglio
da lui scritte nel libro della sua prima navigazione e scoperta di queste Indie.
“Io”, egli dice, “conosciuto che ebbi che era gente la
quale meglio si sarebbe salvata e convertita alla nostra santa
Religione con l’amore che con la forza, allo scopo di farceli
amici regalai ad alcuni di loro alcuni berretti rossi e coroncine di vetro che si mettevano al collo e altre cosette diverse
di poco valore, di che ebbero molto piacere; e tanto divennero nostri amici che era una meraviglia. Essi, poi, venivano
nuotando alle barche dei navigli, dove noi stavamo, e ci portavano pappagalli, filo di cotone in gomitoli, zagaglie e
tante altre cose, le quali scambiavano con altre che noi davamo loro come perline di vetro e sonagli. Insomma, tutto prendevano e davano di buona volontà; ma mi parve che
fosse gente molto sprovvista di ogni cosa.
Vanno tutti nudi come la madre li partorì, comprese
le donne, e una di queste era assai giovane. E tutti quelli che
io vidi eran giovanissimi, ché non ne scorsi alcuno che fosse
di età superiore ai 30 anni, e son tutti assai ben fatti, bellissimi di corpo e di graziosa fisionomia. Hanno i capelli
grossi, quasi come i crini della coda dei cavalli, corti e cadenti sulle ciglia, salvo qualche ciuffo che gettano indietro e
conservano lunghi senza mai accorciarli. Taluni si dipingono di grigio (e questi son del color dei Canariani, né neri,
né bianchi), altri di bianco, o di rosso o d’altro colore; taluni si dipingono la faccia, altri tutto il corpo, o solo gli occhi, o solo il naso.
Non portano armi, e nemmeno le conoscono: mostrai
loro le spade ed essi prendendole per la parte del taglio, per
ignoranza si tagliavano. Non hanno alcuna specie di ferro.
Le loro zagaglie sono certe verghe senza ferro, alcune delle
quali recano all’estremità un dente di pesce, e altre un
corpo duro di qualsiasi specie. Generalmente sono di bella
statura, di graziosi movimenti e ben fatti.
Alcuni ne vidi che recavano tracce di ferite sul corpo,
e chiesi loro a forza di gesti che cosa significassero quei segni; ed essi mi fecero capire come in quella loro terra venissero genti da altre Isole vicine con l’intenzione di catturarli,
e come si difendessero. E io credetti e credo che giungano
qui dalla Terraferma per prenderli e ridurli in ischiavitù.
Debbono essere buoni servitori e ingegnosi, perché osservo
che ripetono presto tutto quello che io dico loro, e ritengo
anche che possano diventare agevolmente cristiani, poiché
mi pare che non appartengano a nessuna setta. Piacendo a
Nostro Signore, quando partirò di qui prenderò con me sei
di questi uomini per condurli alle Altezze Vostre, affinché
imparino a parlare [il castigliano]. In quest’Isola non ho visto animali di nessuna specie, salvo pappagalli”. Queste
sono tutte parole dell’Ammiraglio.
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